%> dBlog - Leica M, una saga senza fine di Sante Castignani
 

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Non siete ancora stanchi? Leggete:LEICA REFLEX: Luci e ombre di una principessa che non divenne regina.” , " LEICA M la saga senza fine" i fondamentali scritti su leica di Sante Castignani ora arricchiti da un nuovo articolo sulle ottiche Voigtlander: "Voigtlander al Microscopio".

"Le ottiche EF Autofocus di Canon" di Pino Caprio

Aggiungo qualche risorsa anche per i felici possassori della HOLGA
Da Lomography: Manuale Italiano ed utilizzo di film 35mm.
Da Polaroid: Rendere piu’ luminosa la holga, concise, Holder instructions + Piu’ qualche mia disavventura con i film tipo 80 di polaroid - Manuale della LOMO LC-A in inglese - sempre in inglese potete trovare qui i manuali della gloriosa polaroid SX70 e della Automatic Land Camera 250 questa selezione fa parte del sito orphan cameras sul quale potete trovare davvero tanti libretti di istruzione per tutti i gusti. Ovviamente e' giusto ricordare anche il link ufficiale Polaroid dove trovare alcuni manuali. Segnalo ancora sempre per gli appassionati polaroid il video edito da Freestyle (trovate il link sotto) sulla realizzazione di un Polaroid Image Transfer ed uno sulla manipolazione delle polaroid SX-70 (Purtroppo Polaroid ha annunciato la chiusura della produzione di film SX-70, per chi vuole provare questa tecnica occorre affrettarsi e ricordate che non e' necessaria una Camera Sx-70 ma se posizionate un filtro neutro +2 stop davanti all'esposimetro potete usare i film Sx-70 anche su normali camere 600!!!!!).

E poi ancora:


Link Fotografia:

Fotografia e Informazione
Lens Performance
Lens Performance RAW Data
FreeStyle
Holga.net
ItalSystem.it
Roberto Piero Ottavi
Mauro Fiorese
Gruppo Polaser
Maurizio Galimberti
Paolo Gioli
Massimo Stefanutti
FotoInScatola
Fotografia Anni 30
Gruppo Rodolfo Namias
Polanoid
h0lg4
Found photography
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Leica M, una saga senza fine di Sante Castignani
Di mauro (del 17/12/2005 @ 01:09:33, in Leica, linkato 132639 volte)
Leica M, una saga senza fine
(
I presenti articoli sono stati scritti da Sante Castignani sul Forum Leica nei seguenti post:

http://www.leica-italia.it/cgi-bin/forum/oggetto.asp?id=22242&ins=1
http://www.leica-italia.it/cgi-bin/forum/oggetto.asp?id=22240&ins=1)

Correva il lontano 1954.

La Ernst Leitz di Wetzlar dominava da circa 4 decenni la scena del 35mm, con unica vera, temibile, rivale la Carl Zeiss, che, da Jena prima, e da Stoccarda poi, rischiava di rubarle la scena con la splendida Contax, macchina forse non affidabilissima, ma di sicuro molto più moderna e pratica. In particolare, e questo già da lunghi anni, la Contax vantava un telemetro con base molto più ampia della rivale, e un'unica finestrella per inquadrare e mettere a fuoco; disponeva inoltre di un attacco a baionetta sicuramente più pratico, e di un caricamento della pellicola più veloce e sicuro.

Seppure con il consueto ritardo, la Leitz decise che i tempi erano maturi per una robusta revisione dell'ormai antico schema delle leichette a vite, e oggi possiamo sicuramente affermare che le attese degli aficionados non potevano essere meglio premiate: la neonata era niente di meno che la Leica M3. Ci vorrebbe uno squillo di tromba, perché la portata della rivoluzione era tale che oggi possiamo comprenderla solo in parte.
Intanto l'attacco delle ottiche passava dalla vecchia vite 39x1 alla tuttora attualissima baionetta M; la struttura del corpo, in solida pressofusione, surclassava quella in lamiera delle antenate. Il mirino, dalla immagine finalmente grande e confortevole (0,91X), era abbinato a un telemetro la cui straordinaria precisione rimane tuttora insuperata; l'avanzamento della pellicola e il riarmo dell'otturatore erano affidate a una moderna leva di carica, che permetteva di saggiare a ogni foto, con la propria dolcezza, la superlativa qualità della meccanica. Nella prima versione l'otturatore contemplava ancora la scala antica (1/10 1/25 1/50 ecc.), e assicurava una precisione e una silenziosità di funzionamento ancora ad oggi (specie quest'ultima) imbattute.

Il caricamento della pellicola era molto più pratico che nelle macchine a vite, in quanto lo sportellino posteriore permetteva l'accesso al vano del film; il mirino offriva le cornici del 50 (fissa), del 90 e del 135; queste ultime vengono attivate automaticamente all'atto dell'inserimento dell'ottica relativa, o anche selezionate tramite una levetta sul frontale (non presente nella primissima versione).

Per capire quanto evoluta fosse la concezione della M3, basterebbe considerare quanto essa sia strutturalmente simile alle recentissima MP, ultima nata della Casa di Wetzlar/Solms. Di fatto, fatta salva l'assenza di cornici per i grandangolari, una M3 mantiene tutt'oggi una usabilità altissima.

L'impatto sul mercato fu esaltante: nelle sue varie versioni la M3 rimane la Leica più venduta di tutti i tempi, per un totale che si aggira sui 220.000 pezzi! Le modifiche che furono apportate nella sua lunga vita (quattordici anni) riguardano principalmente la già citata levetta per la selezione delle cornici, una nuova scala dei tempi standard, il caricamento con una sola corsa della leva invece che in due colpi come il primo modello, oltre a dettagli minori.

Prendiamo in mano una di queste meraviglie: intanto godiamo del contatto con la vulcanite, piacevolmente ruvida, e sicura nella presa come nessun altro rivestimento; proviamo poi a telemetrare: se abbiamo avuto la fortuna di imbatterci in un esemplare non oltraggiato dal tempo, o fresco di revisione, troveremo un mirino di una godibilità unica; mettere a fuoco è di una facilità e sicurezza non riscontrabili in nessuna altra macchina. Il pulsante di scatto sembra affondare in un cuscino d'aria, e il sussurro dell'otturatore la dice lunga su come si sapeva costruire in quei tempi. La sensazione di perfezione, di assoluta essenzialità, di fluidità dello strumento invoglia a fotografare, e giustifica l'appellativo coniato da qualcuno di Stradivari delle fotocamere.

Implicito in quanto sopra un caldo consiglio: se avete la fortuna di possedere una M3 non lasciatela a prendere polvere su uno scaffale, fatela scattare, e vedrete di che piacere (e di che foto!) verrete ricompensati!

Alla prossima,
Sante

M3, M2, M4
Abbiamo lasciato la M3 nel pieno della sua gloriosa carriera. Vorrei fare ancora qualche considerazione su questa macchina, e più in generale sulla produzione di quegli anni. Una azienda pur prestigiosa e importante come la Leitz era tuttavia strutturata come impresa familiare; se l'Herr Ernst Leitz di turno credeva in un prodotto, questo si faceva, al meglio. Non c'erano reparti preposti a lunghi studi di fattibilità, al calcolo minuzioso dei costi, delle ore di lavoro necessarie, ecc. Sia chiaro che oggi una azienda siffatta non reggerebbe il mercato, e pertanto la portata della nostra nostalgia deve essere prudente e circoscritta. Ma non possiamo per questo dimenticare, da veri appassionati, che c'è stata un'età dell'oro in cui sul collo del progettista non soffiava il fiato del responsabile del marketing o dell'analista dei costi di produzione. Il preambolo per dire che, da un punto di vista strettamente qualitativo, l'esperienza di M3 e sorelle non è ripetibile.

Non voglio certo affermare che le macchine attuali siano costruite male, ma soltanto che da un punto di vista di eccellenza assoluta certe finezze non sono più sostenibili, né forse apprezzate. Utile a questo punto trasferire l'attenzione a un settore per certi versi gemello, quello dell'orologeria meccanica di alto livello. Chi conosce questa nobile disciplina (tanto alta e virtuosa quanto becero e consumista appare allo scrivente la corsa all'ultimo Daytona, ma sarebbe un discorso lungo...) sa perfettamente che ci sono regole ferree che nessuna Maison rischierebbe di infrangere, pena il ripudio dei veri appassionati. Prendiamo una semplice vite: altro è una vite con testa a taglio perfettamente lucidata, lavorata al tornio e magari azzurrata alla fiamma, altro una vitina a croce industriale, distrattamente pescata da una scatola da 10.000 pezzi. Il manager dei costi vuole la seconda, ma l'artigiano che deve assemblare la macchina riceve un primo messaggio di efficientismo, che pian piano lo distacca da un lavoro sacrale, per dirottarlo verso una aliena catena di montaggio.

E altrettanto possiamo dire delle componenti in materiale sintetico, in acciaio tranciato invece che lavorato alla macchina utensile, delle scritte serigrafate invece che incise, e così via, fino ad arrivare al telemetro non tarato alla perfezione perché oggi devi farlo in mezz'ora mentre qualche anno fa ti lasciavano il doppio del tempo. E' necessario sottolineare come l'attuale livello qualitativo Leica sia comunque a livello spaziale rispetto a tutto il resto, ma nemmeno in Leica si può più pensare di lavorare senza compromessi. Questo non deve farci disamorare della M7 o della MP, la cui funzionalità è tale da non permettere confronti, quanto piuttosto farci considerare con occhi diversi la produzione anteriore agli anni '80, epoca in cui i primi oculati risparmi che hanno permesso alla Leica di sopravvivere alla crisi più grave della sua esistenza, vennero messi in atto.

Torniamo nelle officine Ernst Leitz di Wetzlar, siamo di nuovo nella metà degli anni '50.
Il mondo fotografico ha accolto con entusiasmo la M3, ma come sempre accade, ognuno vorrebbe la macchina fotografica su misura. C'erano i fotoreporter, ad esempio, che giudicavano inutile la cornice del 135, che avrebbero barattato molto volentieri con una che indicasse l'inquadratura del 35mm. Inoltre, anche se non riesco francamente a capirne la ragione, qualcuno rimpiangeva il vecchio contafotogrammi ad azzeramento manuale. Detto fatto, nel 1957 nasce la M2, identica alla sorella maggiore, salvo un mirino con ingrandimento ridotto (0,72), contafotogrammi esterno manuale come nelle vecchie macchine a vite, e qualche semplificazione meccanica (come la soppressione, ahimé, di un cuscinetto sull'albero di trascinamento), che permettono di offrire un modello alternativo, e leggermente meno costoso.

Il tandem funziona bene per oltre un decennio, con buon successo di entrambi i modelli (anche se la M2 vende in tutto poco più di 80.000 macchine, un terzo della M3); ma entrambe le macchine sopravviveranno di un solo anno alla nuova regina, forse la M più amata di tutti i tempi: quella M4 nata nel 1967, e dal cui DNA vennero clonati anni dopo quei modelli che sopravvivono tutt'oggi.

La M4 cerca di raccogliere in un solo modello le qualità della M2 e della M3, aggiornandone al contempo design e funzionalità. Il mirino parte da quello della M2, con ingrandimento 0,72, aggiungendo anche la cornice (piccolissima, in verità) del 135mm; abbiamo pertanto le seguenti cornici: 35/50/90/135. Non cambiano otturatore e meccanica interna, mentre compare per la prima volta il peculiare manettino inclinato (per ragioni di spazio) che sopravvive fino agli ultimi modelli. Vengono ristilizzati comandi minori (leva di carica, levetta autoscatto e selezione focali, ecc.), ma la sostanza è la stessa dei modelli precedenti. La M4 viene venduta in circa 60.000 esemplari, spalmati in otto anni di vita: già questo dato, confrontato con i numeri dei modelli precedenti, la dice lunga sul declino che il telemetro inizia a conoscere in quegli anni, spintonato dalla ormai dirompente rivoluzione delle reflex monobiettivo.

La M4, forse non raffinata quanto la M3 (almeno questo dicono i sensi, utilizzando le due macchine), ma bella, pura ed essenziale come solo una Leica sa essere (al massimo posso concedere un pari empito d'amore per una Nikon F con il prisma non esposimetrico), rimane la macchina di riferimento dell'era tradizionale, il modello che la mia memoria di appassionato di mezz'età ricorda al collo dei grandi reporter, la dominatrice dei primi listini che adolescente mi davano (quasi!) più emozioni di una furtiva copia di Playboy.
Sto invecchiando, e in certi sentimenti comincio a vivere con le spalle rivolte al futuro...

a presto,
Sante



M5, CL

E' giunto il momento di esaminare due macchine che incarnano una sorta di maledizione che accompagna il marchio Leica da un certo momento in poi: quella di riscuotere un successo non esaltante in vita, per essere invece amaramente rimpiante una volta uscite di produzione.
Stiamo parlando della M5 e della CL, le prime macchine a telemetro dotate di esposizione TTL.
La M5 nasce nel 1971, si affianca alla M4 senza sostituirla, e porta, per la prima volta dalla nascita del sistema M, una poderosa ventata di novità. Intanto, la misurazione dell'esposizione attraverso l'obiettivo, primato ardito e tecnologicamente ambizioso per l'epoca: un conto è piazzare una cellula dentro il pentaprisma di una reflex, un altro è intercettare la luce in una telemetrica. Fu necessario a questo scopo creare un elaborato sistema meccanico che utilizza un braccetto mobile (sul quale è alloggiata la cellula) che si togliesse di mezzo un istante prima dello scatto, per non interferire con l'esposizione. L'esposimetro, con cellula al CDS, è estremamente preciso e sensibile, e legge su un'area molto ristretta (spot); la macchina vanta inoltre la scala dei tempi visibile nel mirino, e un praticissimo selettore dei tempi che può essere comodamente manovrato con un solo dito. E' dotata di autoscatto, scala sensibilità da 6 a 3200 ASA, tempi di esposizione da 1/2 a 1/1000 di secondo.
La M5 nasce sulla stessa meccanica della M4, ma per fare posto ai meccanismi della cellula è necessario maggiorare di qualche millimetro la struttura della macchina. L'incremento di dimensione, unitamente a un restyling non proprio felicissimo (anche se devo dire che a me non dispiace, ma obiettivamente non può reggere il confronto con il classico corpo M) fanno digerire malvolentieri al pubblico Leica il feroce prezzo di listino a cui viene proposta sul mercato, e la maggioranza continuerà a preferire la M4, tutt'al più corredata di Leicameter. E' un peccato, perché la M5 rimane una macchina meravigliosa, e molti che la scoprono se ne persuadono tutt'oggi. Il funzionamento è dolcissimo, l'impugnatura salda anche per chi ha mani grandi, la lettura dell'esposizione, con galvanometro, assai più rapida e precisa che con i successivi led; gli stessi tempi nel mirino sono una comodità impagabile che fino alla M7 non avremo più...
Meno di 35.000 fotocamere in circa 5 anni di vita. Per ogni macchina venduta, fonte Leitz, la casa rimetteva 1000 marchi. Con la cessazione della M5, muoia Sansone con tutti i Filistei, si sospende la produzione delle macchine a telemetro in casa Leitz, fino a che, nel 1977, non partirà l'esperimento M4-2.

La storia della Leica CL (Compact Leica) si sovrappone in parte a quella M5, anche se la realizzazione e il target erano profondamente diversi. Ne condivide tuttavia l'idea di base della cellula montata su braccetto mobile, che ne fa tuttora la più piccola telemetrica con esposimetro TTL. Se la M5 ingigantiva un poco il classico corpo M, la CL al contrario cerca di miniaturizzarlo al massimo, ferma restando una certa compatibilità con le ottiche M, che in gran parte può montare. A proposito di obiettivi, assieme alla CL nascono un 40/2 e un 90/4 dedicati, di ottime prestazioni; pur essendo dotati di innesto M, la casa ne sconsiglia l'uso su altri modelli per la particolare inclinazione della camme telemetrica; nessun problemna invece a usare le altre ottiche M sulla CL, salvo quelle troppo grandi come il Noctilux (che ostruiscono il telemetro) o quelle dotate di occhialini (che finiscono in posizione sbagliata). Primo frutto telemetrico della collaborazione con Minolta, la CL offre tempi da 1/2 a 1/1000 di secondo, scala delle sensibilità da 25 a 3200 ASA, cornici per il 40mm e il 50mm (fisse) e per il 90mm (che compare all'atto del montaggio dell'ottica); come la M5 permette di leggere i tempi nel mirino, e di azionare comodamente il selettore dei tempi con il solo dito indice.
In realtà la CL non vende male: 65.000 pezzi in circa tre anni (1973/1976) non è un cattivo risultato, ma ciò non basta a salvarla dal precoce pensionamento, e dal tuttora perdurante rimpianto di molti appassionati.

Alla prossima,
Sante


M4-2, M4P, M6
Come già detto, con l'uscita di scena della M4 e M5 (1975) e della piccola CL (1976), si interrompe in quel di wetzlar la produzione di fotocamere a telemetro. La dirigenza Leitz, profondamente scoraggiata dall'andamento del mercato, va a cercare in Giappone e nella reflex la sopravvivenza dell'azienda.
Trascorrono così un paio di anni molto tristi: dall'inizio della storia Leica non era mai successo che non esistesse una fotocamera con questo nome che esibisse il suo bel mirino galileiano. Unica rappresentante del mito Leica, in quei tempi, la "meticcia" R3, certo non il sogno dei sostenitori più sfegatati.

Tutto sembra perduto, le altre grandi case tedesche hanno già capitolato da un pezzo, e nulla all'orizzonte lascia presagire la rinascita che di lì a poco arriverà sotto forma di un deus ex machina canadese...

Proprio così, negli stabilimenti di Midland, assieme ad eccelsi tecnici c'era anche un dirigente illuminato che lanciò una sfida a Wetzlar, quella di rimettere in produzione un quantitativo di apparecchi a telemetro per soddisfare una richiesta che evidentemente aleggiava nell'aria; dalla Germania si replicò con un rilancio: facciamo le macchine se ce ne vendi anticipatamente qualche migliaio. Dopo poco, il nostro eroe (mi spiace di non ricordarne il nome, ma questa storia è stata narrata da poco su Leica Magazine) si ripresentò con contratti in avanzo per ripartire con l'avventura della M. La linea di produzione M venne trasferita in Canada, e ci si mise al lavoro.
Si riprese in mano la M4, venne giudicata opportuna una predisposizione per il winder, e superfluo l'autoscatto; qualche piccola semplificazione produttiva, e via con la M4-2.
Fu un piccolo successo, circa 16.000 pezzi in tre anni. Lontani dai grandi numeri del passato, ma sicuramente meglio di niente.

Arriviamo al 1980. L'esperienza tutto sommato positiva della M4-2 convince la Leitz a riprendere la produzione in Germania. La M4-2 viene modificata nel mirino, cui vengono aggiunte le focali 28 e 75, e il nome viene variato in M4-P; in produzione fino al 1986, per un totale di circa 23.000 pezzi.

Ma la vera rivoluzione arriva nel 1984, quando l'elettronica permette finalmente di inglobare un sofisticato sistema esposimetrico nel classico corpo M senza alcuna modifica di stile e dimensioni: nasce la M6.
E fu vera gloria. La M6 è rimasta in produzione per ben diciotto anni (lievemente corretta sul finire della sua carriera nella versione TTL che permette l'esposizione flash con dialogo tra camera e lampeggiatore), dimostrando una affidabilità a tutta prova e una praticità estrema.
Come dicevamo, la M6 è identica alla M4P, con l'aggiunta di un moderno esposimetro. Quest'ultimo, dotato di cellula al silicio, legge sul piano focale, con lettura spot allargata. La segnalazione della corretta esposizione avviene attraverso due led a forma di freccia che vanno fatti accendere simultaneamente con eguale intensità. A parte questo "dettaglio", oltretutto invisibile dall'esterno, la macchina esprime tutta l'originaria purezza delle linee M, addirittura stilizzandole ulteriormente. A un certo punto, quasi all'epoca della trasformazione in TTL flash, viene presentata una variante, con mirino a maggior ingrandimento (0,85 invece di 0,72). Di lì a poco verrà ulteriormente ampliata la gamma con la versione 0,58 (pensata per un uso facilitato con i grandangoli e per chi porta occhiali); i due nuovi mirini perdono rispettivamente la cornice del 28 e del 135mm.
La TTL, nata sul finire degli anni '90, oltre alla già descritta lettura TTL flash, introduce un terzo led centrale di corretta esposizione, e vede modificato il selettore dei tempi, che nella versione tradizionale ruota in senso inverso alla indicazione della freccia nel mirino; oltre a ruotare nella direzione "giusta", il nuovo selettore è comodamente azionabile con un solo dito, grazie al maggior diametro dello stesso. Tutto qui, per una macchina che passerà il testimone alla M7 dopo quasi un ventennio di regno incontrastato, e, come la fenice, rinascerà sotto le mentite spoglie della MP...

Ma questo è il tema della prossima puntata.
Ciao,
Sante


M7, MP

Se la memoria non mi tradisce, la M7 nasce nella primavera del 2002. Finalmente, dopo anni di indiscrezioni, fantomatici prototipi, supposizioni, nasce la prima M con esposizione automatica.

In realtà, chi ha buona memoria, potrebbe ricordare un editoriale di Romolo Rappaini su Leica Magazine dove, in largo anticipo sui tempi, si annunciavano i mirini 0,58 e 0,85, e una macchina, appunto, con esposizione elettronica.

Sembra, ripeto sembra, che l'accelerazione finale sia stata voluta dalla neo insediata dirigenza Hermès, ma sicuramente l'idea circolava ormai da anni. Quasi identica esteriormente alla M6 TTL, la M7 se ne differenzia per la lettura DX, l'esposizione a priorità di diaframma (oltre che manuale, ovviamente), e l'otturatore a controllo elettronico che, in assenza di batterie, consente i soli tempi di 1/60 e 1/125.
Sportivamente bisogna ammettere che la soluzione che la Nikon ha adottato sulla splendida FM3a sarebbe stata sicuramente preferibile: otturatore completamente funzionante anche senza pile in manuale, e controllo elettronico con le batterie per l'esposizione AE. Ma accontentiamoci, un paio di pilette in borsa bisognerebbe sempre averle.
In manuale la macchina fornisce le stesse funzionalità della M6, con le solite frecce ad indicare la corretta esposizione; in automatico si può contare sul blocco della memoria collegato al pulsante di scatto.
Come valutazione strettamente personale, la grande varietà di segnalazioni che la macchina fornisce nel mirino sotto forma di puntini più o meno lampeggianti, numeri che possono essere alternativamente ISO o tempi di scatto, ecc. va a togliere parte del piacere purista della classica Leica, e il manuale di istruzioni comincia a diventare pericolosamente necessario.
Tuttavia la M7 piace subito e continua giustamente a raccogliere consensi, a dispetto di qualche piccolo peccato di gioventù, il più delle volte assolutamente veniale. L'operazione fotografica si semplifica e velocizza, e con un grandangolo moderato focheggiato a stima e un diaframma medio, si va sicuramente più veloci che con un'autofocus.

La M7 inizialmente toglie di mezzo la M6. Di punto in bianco la Leica si trova a non avere più nessuna macchina integralmente meccanica in catalogo. In molti ci rimangono male, ma l'attesa non sarà lunga, visto che pochi mesi dopo nasce la MP.

La MP è una M6 classic (non TTL flash), migliorata in numerosi dettagli costruttivi (parti meccaniche lucidate, mirino più contrastato, calotta in ottone, esposimetro privo di componenti discreti, eccetera), e ristilizzata un poco alla vecchia maniera.
Cercherò di essere imparziale, ma temo che alla fine la mia simpatia per questa vecchietta reduce da un efficace lifting non potrà rimanere nascosta...
La MP ricuce lo strappo con il popolo Leica più integralista in modo inaspettato; sulla arida calotta vuota della M6/M7 torna a sbocciare il corsivo pantografato "Leica", mentre il marchio scompare dal frontale. Via il discusso bollino rosso, per far tornare al proprio posto la classica vite; scompare anche il manettino di riavvolgimento inclinato che accompagna le Leica dalla M4 in poi, rimpiazzato da un ipertradizionalista nottolino godronato, più pratico di quanto sembri (e comunque integrabile con una manovellina accessorio). Il mirino telemetro raggiunge una luminosità e un contrasto spettacolari, qualità che verrà presto trasferita anche sulla M7, e il feeling che la macchina riesce a trasmettere nel maneggiarla richiama molto ma molto da vicino i capolavori degli anni d'oro...

Ci siamo, il nostro veloce excursus tra le macchine Leica M giunge al suo termine.
Rimangono considerazioni di carattere generale, e magari qualche approfondimento.

Intanto possiamo dire che nessun'altra dinastia può probabilmente vantare tanta coerenza ideale, qualitativa, tecnica, attraversando uno spazio di mezzo secolo; proviamo a confrontare cosa producevano cinquanta anni fa le altre grandi case, e mettiamo quei prodotti vicino a quelli di oggi. Lotta impari! La M ha raccolto il successo della qualità e della felice intuizione di quei mastri designer di allora.

Possiamo aggiungere che nella linea M, a ben guardare, non ci sono quasi doppioni. Possiamo considerare forse ripetitive le varianti M4/M4-2/M4P, ma guarda caso hanno lo stesso nome; per il resto ogni apparecchio ha una sua filosofia, e credo di non dire una fesseria affermando che a me piacciono tutte, e che ne vorrei una per tipo:

Una M3 per assaporare appieno la leggendaria qualità meccanica della Leitz; per il suo mirino meravigliosamente semplice e pulito, per la minimale semplicità della macchina, per la manualità con cui la si alimenta (basti pensare al laborioso atto d'amore che è un semplice cambio di pellicola)...

Una M2 per poter utilizzare pienamente la più bella focale, il 35mm, senza rinunciare all'impostazione quasi gemella della precedente...

Una M4 (o sua erede M4-2, M4-P) per la completezza del mirino e per la maturità del prodotto, oltre che per essere una icona per quelli della mia età...

Una M5 per la maneggevolezza, l'impugnatura sicura, la completezza, la meccanica sopraffina...

Una M6 per la sintesi mirabile di forma e funzione...

Una M7 per la disinvoltura con cui una formula antica come il telemetro può essere traghettata nell'attuale...

Una MP per un calibrato ritorno al passato...

Ora mi metto a collezionarle tutte, e cercherò di stare attento, nell'acquisto, a:

Nella M3 controllerò bene la brillantezza del telemetro, che non deve essere scolorito o macchiato; l'immagine telemetrica mobile della M3 non raggiunge mai il contrasto degli altri modelli, ma deve essere comunque nitidissima e leggibilissima; l'otturatore deve scorrere dolcemente e silenziosamente anche nei tempi lunghi, compreso il caratteristico ritorno del ritardatore (la leggenda narra che una Leica M, quando scatta a 1 secondo, fa lo spelling di: WETZ-LARRRRRRRRRR); nel primo tipo a due colpi, forzando leggermente la leva ad otturatore armato, il blocco deve essere sicuro, e la leva non slittare; proverò l'autoscatto, il selettore delle cornici, ispezionerò la tela delle tendine, testerò il telemetro all'infinito, e se sarà possibile scattare un rullo di prova, anche alle brevi distanze.

Nella M2 e nella M4 eseguirò gli stessi controlli, con meno trepidazione per il telemetro, che non ha la stessa tendenza a scolorire (generalmente per colpa dell'umidità) della M3.

Nella M5 cercherò di sincerarmi della perfetta scorrevolezza della leva di carica (che deve riarmare ogni volta anche il braccetto dell'esposimetro) e soprattutto della perfetta taratura dell'esposimetro; porterò con me una pila da 1,35 volt zinco/aria (Polyphoto, 7,70 euro), e una macchina di sicura efficienza sensitometrica. Eviterò come la peste di acquistare una macchina "ritarata" a 1,5 volt. Potendo scegliere, preferirò una M5 "tre ganci" (dotata cioè di tre attacchi per la tracolla) perché si tratta della versione più recente, mondata di alcune piccole imperfezioni.

Nella M6 cercherò di evitare la primissima serie (peraltro interessante collezionisticamente), e controllerò con attenzione il telemetro (anche nella taratura verticale); andrò a sincerarmi che il contapose si azzeri con sicurezza ogni volta che apro il dorso, e che le cornicette delle focali scorrano perfettamente e senza inerzia.


La M7 e la MP, ancora prodotte, posso comprarle anche nuove...

Le ottiche M!


Super Angulon 21mm f:4 ;
prodotto dal 1958 al 1963, primo esperimento di collaborazione con la Schneider; disponibile sia per macchine a vite che a baionetta; miracoloso per l'epoca, oggi non si può definire un obiettivo brillantissimo. Fatica nel risolvere i dettagli più fini, e nel mantenere una accettabile uniformità di campo; in più, soffre di una vignettatura estremamente pronunciata. Correttissima invece la distorsione.

Super Angulon 21/3,4;
prodotto dal 1963 al 1980, evoluzione del precedente f:4, ne migliora sensibilmente qualità ottiche e prestazioni, riducendo la vignettatura e aumentando la nitidezza. Peculiare la saturazione cromatica, a livelli tuttora difficili da battere.
Per gli utilizzatori affezionati a una certa estetica tradizionale dell'immagine, il Super Angulon mantiene tuttora una usabilità molto alta; in particolare questi ne apprezzeranno una scala tonale (nel BN) alla vecchia maniera, una totale assenza di distorsione, una resa ai diaframmi centrali assolutamente ottima, e non saranno probabilmente disturbati da un residuo di vignettatura tutt'altro che trascurabile.
Gli altri faranno bene a dare uno sguardo alle ottiche più giovani.


ELMARIT 21/2,8 ;
discendente della gloriosa stirpe dei Super Angulon, l'Elmarit 21/2,8 segna l'ingresso in prima persona della Leica in questa fascia di focali, precedentemente affidata alla Schneider. Tuttora degno del massimo rispetto (non sono pochi quelli che lo preferiscono all'asferico), l'obiettivo in questione esibisce una resa assolutamente soddisfacente sotto ogni punto di vista; lo schema ottico leggermente retrofocus fa lavorare le lenti a distanza di sicurezza anche per la vignettatura, assai contenuta. Magnifica resa cromatica, nitidezza ai margini molto soddisfacente chiudendo di un paio di stop. Resa molto ariosa e meno tagliente del suo successore; davvero un ottimo vetro.


ELMARIT 21/2,8 ASPH.;
non si rischia molto nell'affermare che si tratta del miglior 21mm di tutti i tempi. Resa esemplare per nitidezza (eccezionale su tutto il campo fin dalla T.A.), distorsione, contrasto, vignettatura. Probabilmente impossibile fare di meglio. Con tanta perfezione, scontate le accuse di essere un po' freddino: quando mai i primi della classe sono stati simpatici?: - ))


ELMARIT 24/2,8 ASPH.
di nascita relativamente recente (1996), inaugura questa focale (molto amata dai fotografi di reportage) nel telemetro. Concepito già nell'era degli asferici, fa subito sensazione per la straordinaria correzione di tutte le aberrazioni. Nitidissimo su tutto il campo e a tutti i diaframmi, sfodera anche una resa cromatica molto piacevole, che alcuni preferiscono a quella del fratellone da 21mm. Nessuna distorsione visibile, vignettatura impercettibile; che cosa si potrebbe desiderare di più?


ELMARIT 28/2,8
prima versione, dal 1965 al 1972. Se pensiamo che questo progetto segue il vetusto Summaron 5,6, possiamo comprendere quale tuffo nel passato sia esaminare questa ottica. I segni del tempo si fanno vedere: nitidezza uniforme sul campo solo chiudendo due o tre stop, tracce di astigmatismo e coma alle massime aperture. Resa comunque ancora molto piacevole per gli amanti della tradizione. Non usabile su M5, CL, Epson RD1; lettura esposimetrica errata con le altre.


ELMARIT 28/2,8
seconda versione, dal 1972 al 1979;
Questa versione, ricalcolata e meno sporgente, può essere utilizzata senza alcun problema su tutte le macchine. Nuovo schema ottico, e prestazioni migliorate, anche se la resa dei 35 rimane visibilmente superiore per uniformità di resa e correzione delle varie aberrazioni.


ELMARIT 28/2,8
terza versione, 1979/1993
Altro giro, altra corsa. Nuovo schema, resa ancora migliorata. Non siamo ancora a livello Summicron 35, ma ci avviciniamo. Chiudere a 5,6 per resa uniforme su tutto il campo, non pretendere correzione perfetta di distorsione e altre aberrazioni (che comunque spariscono diaframmando, distorsione a parte), ma resa molto piacevole e tipicamente Leica secondo tradizione. Tuttora un ottimo acquisto, a un prezzo spesso ragionevole.


ELMARIT 28/2,8
quarta versione, dal 1993 al 2001;
Habemus papam. Finalmente, con questa versione, il 28M conquista una qualità ottica paragonabile ai 35mm, se non addirittura migliore. Senza lenti asferiche, raggiunge tuttavia una nitidezza eccellente su tutto il campo fin dalla massima apertura, limitando allo stesso tempo al minimo tutte le altre aberrazioni.
Resa brillante, nel solco delle ottiche di ultima generazione.

SUMMICRON 28/2 asph;
Il nuovo corso Leica si sostanzia nell'evoluzione ottica in oggetto, che aumenta allo stesso tempo luminosità e prestazioni (?). Il punto interrogativo non è per polemica, ma solo per l'altissima qualità della versione precedente, difficile da migliorare. Qualità tipicamente da Summicron asferico, con punte di nitidezza addirittura superiori al 35mm.
La resa brillante e incisiva genera immagini di altissimo dettaglio, cesellate con minuzia estrema. Saturazione molto elevata. Un poco di vignettatura ai diaframmi maggiori, distorsione nulla. Sicuramente il miglior 28 in circolazione.


SUMMARON 35/3,5
dal 1954 al 1960.
Ottica a sei lenti, prima evoluzione rispetto al vetusto Elmar a 4 lenti, che per un ventennio circa sottorappresentò la produzione Leica in questa focale così cruciale, il Summaron rappresentò un autentico balzo qualitativo in avanti. Le sue prestazioni, non disprezzabili neppure oggi, all'epoca rasentavano il massimo livello possibile. Dotato di buon contrasto (anche se oggi molti esemplari andrebbero puliti internamente per ricondurli agli antichi fasti), esibisce una nitidezza più che discreta ai diaframmi maggiori, e ottima a quelli centrali. Disponibile anche in versione con occhiali per M3, al modesto costo odierno può ancora equipaggiare degnamente e filologicamente (specie con il BN) una M2 o una M3.


SUMMARON 35/2,8
dal 1958 al 1974
Aggiornamento del vecchio 3,5, il Summaron 2,8 ne spinge sensibilmente in alto le prestazioni, grazie anche a vetri ricchi di lantanio, una terra rara che permette di ottenere mescole ad alto indice di rifrazione (e lenti conseguentemente meno curvate).
Tuttora un buon performer, il Summaron nuova versione è a tutti gli effetti un vice Summicron; meno nitido di quest'ultimo ai due diaframmi maggiori (specie ai margini), raggiunge una sostanziale parità da f:5,6 in poi, su un livello oggettivamente molto alto.


SUMMICRON 35/2
prima versione ad otto lenti.
La leggenda nasce nel 1958. Otto lenti a schema simmetrico di tipo Gauss, vetri arricchiti da terre rare, ed ecco sua maestà Summicron 35 insediarsi stabilmente su un trono che non ha più ceduto a tutt'oggi.
Finalmente la focale 35mm conquista con questo obiettivo dignità pari a quella dei vezzeggiati 50mm.
Straordinaria tridimensionalità, resa di tipo tradizionale, che gradisce un paio di stop di chiusura per raggiungere il massimo di nitidezza, colore saturo ma mai aggressivo.
Globalmente una spanna al di sopra del Summaron, e almeno un paio rispetto alla concorrenza.


SUMMICRON 35/2
seconda e terza versione;
Nel 1969, dopo undici anni di onorato servizio, lo schema a otto lenti del primo Summicron va in pensione, rimpiazzato da una versione alleggerita a sei lenti, sempre a schema Gauss simmetrico. La seconda e terza versione (rispettivamente dal n. 2.316.001 e dal 2.646.001) condividono ufficialmente lo stesso schema ottico. Tuttavia la resa cambia in modo molto evidente tra le prime generazioni e le ultime.
Più precisamente, nelle prime serie, le prestazioni lasciano piuttosto perplessi: da una qualità molto omogenea e sana del vecchio modello a otto lenti, si precipita a un livello sensibilmente più basso, in particolare per la correzione piuttosto approssimativa della curvatura di campo, con conseguente disomogeneità di resa tra le varie aree dell'immagine, specie alle aperture maggiori. Anche il contrasto non entusiasma, se non a partire dalla apertura di f:5,6, che per un Summicron è una bella sconfitta. Forse è con questo passo indietro che comincia a fiorire il tormentone dei leichisti: "era meglio il tipo precedente"...
Verso la matricola 2.600.000 circa, il brutto anatroccolo diventa cigno: le pecche vengono mondate, e l'obiettivo diviene di colpo uno dei più soddisfacenti e ricercati tra i 35mm. Tuttora amato da molti per le ridotte dimensioni, oltre che per la resa, il 35/2 terza versione vede negli ultimi anni una vera e propria corsa all'accaparramento, specie, appunto, nelle matricole più alte.


SUMMICRON 35/2
quarta serie.
A partire dal n. 2.874.251 il Summicron perde qualche grammo e acquista una lente, passando a sette. La resa ottica si avvantaggia di una minor vignettatura, mentre l'alleggerimento avviene a spese della parte meccanica, dove nella montatura fanno comparsa materiali sintetici (policarbonato rinforzato con fibra di carbonio). Purtroppo, come dicevano vecchi saggi contadini, "chi lascia la strada vecchia...", e gli innovativi e futuristici materiali si rivelano nel tempo poco resistenti: con l'andare degli anni la plastica cristallizza e diviene fragilissima, soggetta a incrinature e perfino fratture. Sconsiglio pertanto vivamente l'acquisto di obiettivi della quarta serie di prima generazione, a favore della versione successiva dove il peso passa da circa 150 a circa 200 grammi, pur mantenendo lo stesso numero di catalogo. Non conosco la matricola da cui avviene la transizione, anche se l'ultima serie made in Germany appartiene per intero a quella buona. Spesso ho consigliato di pesare l'obiettivo, unica verifica certa se non si è in grado di stabilire da altri piccoli elementi di quale serie sia.
Tornando alla resa ottica, il sette lenti (detto anche preasferico) è un obiettivo molto buono pur se non privo di qualche pecca: la resa ai margini è eccellente solo da f:4, e al centro da f:2,8. La tutta apertura la riserverei a casi di necessità, per il moderato contrasto e brillantezza. In alcuni test casarecci trovai migliore un vecchio esemplare canadese di un più moderno Germany. Da 2,8/4 in poi l'obiettivo esibisce comunque una resa molto piacevole, molto Leica, preferita da qualcuno al più secco e inciso asferico. Secondo il competentissimo Giuseppe Ciccarella, dai 3.300.000 circa di matricola lo schema viene rivisitato, con correzione quasi totale dell'aberrazione sferica, e resa conseguentemente molto migliorata.


SUMMICRON 35/2 Asph
versione attuale.
Il punto di approdo di mezzo secolo di ricerca Leica in questa focale. Virtualmente siamo alla perfezione assoluta, con una resa di altissimo livello su tutto il campo e a tutti i diaframmi; contrasto molto alto fin dalla tutta apertura, con tutto ciò che questo può comportare di buono e meno buono. Bokeh (resa dello sfuocato) talvolta meno piacevole rispetto ai non asferici, pur nella soggettività della valutazione di detta prerogativa. Brillantezza e incisione che possono apparire eccessive ai cultori della impronta tradizionale Leica, e che si traducono in immagini graffianti, secche, un poco urlate. Dimensioni più importanti rispetto ai predecessori, cosa che penalizza la portatilità tradizionale delle M equipaggiate con questa focale. Tuttavia, nonostante i piccoli nei che si possono via via ravvisare in questo obiettivo, non si può non restare ammirati del lavoro dei progettisti. Una pietra miliare.


SUMMILUX 35/1,4
prima versione.
Obiettivo leggendario, sia da vivo che da morto. Si tratta dell'ottica Leica rimasta in produzione per il maggior numero di anni, circa quaranta. Definito all'epoca, in modo colorito ma efficace, giant of light (gigante di luce, ma l'Italiano non rende giustizia all'espressione originale), il Summilux 35 porta per la prima volta la propria focale al risultato straordinario, per l'epoca, di f:1,4.
Piccolissimo, molto leggero, le sue performances hanno del miracoloso; quando le ottiche nipponiche di luminosità f:2 balbettavano appena, sfoggiando risultati grigi e smorti, il nostro sbaragliava la concorrenza con prestazioni che conservano tuttora una validità a prova di vecchiaia.
Nitidezza ottima al centro fin dalla massima apertura, e ai bordi a partire da f:4; contrasto ottimo fin da f:2,8; resa generale di primissimo livello da f:5,6 in poi, range in cui non teme confronti con il meno luminoso Summicron. Grinta e incisività elevatissime ai diaframmi centrali. Tra i difetti possiamo annoverare una vistosa vignettatura alle massime aperture, un fastidioso coma, e una sensibile aberrazione sferica; proprio quest'ultima è responsabile di una sorta di velo che copre tutta l'immagine alla massima apertura, e che dona a questo obiettivo l'aspetto pittorico e sognante che tanto può piacere (o meno); non credo di sbagliare molto definendolo un Noctilux in 35mm. Per contro si registra una totale assenza di flare, che lo rende particolarmente indicato per fotografia notturna, di teatro, di scena.
Impossibile trarre conclusioni oggettive: si tratta di un vetro che ammalia e delude allo stesso tempo, fa innamorare e arrabbiare, seduce e abbandona. Tante buone qualità e tanti difetti che il successore cancellerà di colpo: i difetti, soprattutto; ma anche qualche pregio che non smette di farsi rimpiangere...

SUMMILUX 35 1,4 ASFERICO
prima versione, con due superfici asferiche.
Intorno al 1989 la Leica annunciò l'intenzione di mettere in commercio una serie limitata di obiettivi asferici da 35mm 1,4; per assicurarsene uno, al prezzo annunciato di 4.500.000 lire, era necessario prenotarsi. Quantità prevista, se la memoria non mi inganna, duemila pezzi (ma poi la produzione aumentò fino ad esaurire tutte le prenotazioni). Siamo ancora nell'epoca in cui le lenti asferiche a Solms si facevano a mano, molando progressivamente la lente fino ad ottenere il profilo stabilito, con costi (e scarti) altissimi. Solo successivamente, e in particolare a partire dal 35/1,4 asferico attuale, la Leica brevettò il metodo tuttora utilizzato di iniettare il vetro ottico fuso in stampi ceramici ad altissima precisione, risparmiando tutta la fase di sbozzo delle lenti. Le prestazioni fecero sensazione. Tutti i difetti del predecessore scomparvero di colpo: coma, aberrazione sferica, vignettatura; tutto ciò rimaneva soltanto un lontano ricordo, per lasciare spazio a un vetro capace di lasciare a bocca aperta per trasparenza, plasticità, luminosità dell'immagine. Il primo vero obiettivo moderno della linea M.
Oramai entrato nel gotha dei pezzi più pregiati e ricercati del catalogo Leica, il Summilux asferico prima versione è anche protagonista di un culto specifico, dove chi lo ha provato lo definisce capace di una qualità di immagine sconosciuta al successivo modello (contraddicendo le affermazioni della Casa, che definiva i due obiettivi capaci di identiche prestazioni), in particolare per una maggior vicinanza al tradizionale spirito Leica, fatto anche di dolcezza e levigatezza, e non solo di correzione e perfezione ottica.


SUMMILUX 35/1,4 ASFERICO
versione attuale.
Al celebre e celebrato Summilux 35/1,4 con due superfici asferiche molate manualmente, seguì, agli albori degli anni '90, un vetro che inaugurava il nuovo corso Leica che vede l'utilizzo diffuso della tecnologia asferica. Ciò fu reso possibile da una nuova metodologia produttiva che prevede l'iniezione del vetro fuso in stampi ceramici di altissima precisione, così da modellare in modo automatico e ripetibile gli sbozzi delle lenti. Una lente asferica riduce enormemente il carico di aberrazioni connaturato ai grandangoli (che per natura utilizzano lenti molto curve, molto sferiche, appunto); è un rimedio infallibile contro distorsione, vignettatura, coma, curvatura di campo. In passato la Leica ne aveva fatto sempre uso parsimonioso per gli enormi costi di produzione, e pur essendo suo il primo obiettivo di serie asferico (il famoso Noctilux prima maniera), successivamente aveva cercato di superare i problemi di progettazione attraverso altre strade. Ma una volta superato l'ostacolo produttivo, ecco che una nuova era si apre all'ottica di consumo.
Il 35/1,4 asferico crea immediata sensazione. Risoluzione, brillantezza, incisione, tutti parametri straordinari fin dalla massima apertura. Distorsione perfettamente corretta, solo un residuo di vignettatura che non scompare completamente neanche ai diaframmi centrali.
Finalmente è possibile immergersi negli ambienti più bui e grigi, senza il velo tipico degli ultraluminosi. Immagini ariose, trasparenti, perfettamente scandite.
Davvero una nuova epoca. La sensazione di libertà dai limiti abituali galvanizza i fotografi, e porta al trionfo la fotografia in avalaible light. National Geographic e simili riempiono paginoni di crepuscoli di entusiasmante nitore.
Ma poi, lentamente, qualcosa si incrina nel rapporto tra alcuni fotografi Leica e questa nascente tipologia di vetri...
Qualcuno inizia un po' a stancarsi di tanta perfezione, e, sommessamente prima, alzando un po' di più la voce successivamente, inizia a rimpiangere pubblicamente qualche "bel difetto di una volta"; oggi non sono in pochi a dire che forse quel pizzico di aberrazione sferica scaldava l'immagine, e facilitava non poco il compito di quanti ritraggano la figura umana per lavoro (cerimonie e simili). Di lì a poco sorgeranno le perduranti opposte fazioni di ultras della nitidezza assoluta o della magica atmosfera del passato...
Che vogliamo farci, è la nostra natura: non siamo mai soddisfatti!

ELMAR 50/3,5
1954-1961
Resa impagabile, secca e grintosa, ma corposa e piacevole allo stesso tempo; in questa saporita ricetta, il segreto del successo di un obiettivo leggendario che ha fatto la storia della Casa. Pur superato, tutt'oggi i risultati di questo obiettivo non cessano di ammaliare generazioni di fotografi.

ELMAR 50/2,8
1957-1974
Nonostante le migliori intenzioni, come l'impiego dei nuovi vetri al lantanio, il più luminoso degli Elmar non raggiunge la stessa qualità del più vecchio f:3,5.
Piuttosto fiacco almeno fino a f:5,6, non disdegna tuttavia di fornire ottime soddisfazioni nel BN tradizionale, dove con un poco di chiusura sfodera immagini corpose e piacevoli.

ELMAR 50/2,8
1995-in produzione
L'ultimo capitolo della saga degli Elmar non è ancora concluso. Nato originariamente per equipaggiare la M6J, ricalcolato con nuovi vetri e trattamenti, il 50/2,8 oggi in produzione è un piccolo prodigio di brillantezza. Perfino esagerato nella verve, è l'ottica giusta per gli amanti della fotografia incisa e grintosa, con in più il grande vantaggio della compattezza estrema una volta rientrato nel corpo macchina.

SUMMICRON M 50/2
prima versione a 7 lenti.
Nato nel 1953 nel passo a vite, un anno più tardi questo rivoluzionario obiettivo accompagnerà la nascita della M3. Nelle varie declinazioni (montatura rientrante, rigido, brevi distanze), resterà in produzione fino al 1968, quando passerà il testimone al 6 lenti svitabile.
Dotato di elevata luminosità relativa perfettamente sfruttabile sin dalla massima apertura, il Summicron 50 stabilì nuovi standard qualitativi per la sua focale, mostrandosi ancora perfettamente attuale a distanza di mezzo secolo. Straordinaria la correzione ottica, e tuttora da rimpiangere la plasticità con cui restituiva i soggetti tridimensionali. Specialmente nella versione "brevi distanze" (o dual range), ancora un'ottica da tenere nella massima considerazione.

SUMMICRON 50/2 "Wetzlar"
versione a sei lenti svitabile.
Prodotto dal 1969 al 1979, il cosiddetto Wetzlar (per distinguerlo dal successivo canadese) va a collocare una solida pietra angolare nell'edificio del gusto del popolo Leica, specie quello più tradizionalista. Davvero arduo trovare un difetto a questo gioiello: bellissima resa cromatica, nitidezza perfetta a tutti i diaframmi e in tutte le zone del campo, trasparenza assoluta, grande capacità di compensare il divario luce/ombra; un capolavoro.

SUMMICRON 50/2
a sei lenti, non svitabile.
Prodotto dal 1979 al 1994 in versione con paraluce separato, e successivamente con paraluce incorporato, questo tuttora in catalogo.
Rispetto alla versione precedente aumentano un poco la brillantezza e il contrasto, e la resa cromatica vira leggermente verso i toni caldi; sempre un campione di categoria, con qualche lieve rimpianto per una peculiare trasparenza del predecessore, compensata dalla già citata brillantezza, gradita a molti.

SUMMARIT 50/1,5
1954-1960
Derivato dallo Schneider Xenon, si tratta di una delle ottiche M ereditate dal parco ottiche a vite. Di certo non si tratta di un modello di correzione ottica, ma come spesso accade in casa Leica, questo spesso lascia presagire vetri molto apprezzati sotto il lato più poetico ed interpretativo, e il Summarit non fa eccezione; difficile trovarne con lenti pulite e non graffiate, ma quando questo succede si può restare molto sorpresi e compiaciuti della pastosa resa di questo nonnetto.

SUMMILUX 50/1,4
prima versione, 1959-1961.
Sempre un sette lenti come il Summarit, da cui questo capolavoro deriva, il Summilux va a stabilire nuovi parametri per quello che riguarda la categoria degli standard ultraluminosi; straordinariamente trasparente e tridimensionale, limpido fin dalla massima apertura, il Summilux apre nuove frontiere espressive nell'ambito della fotografia a luce ambiente, mettendo a disposizione dei fotografi la possibilità di dominare, come mai prima, i contrasti luminosi, senza temere il flare, né l'appiattimento tipico delle ottiche similari.
Se, fino al Summarit, la Leica pativa giustificati complessi di inferiorità rispetto al Sonnar Zeiss e al Nokton Voigtlander, ora, finalmente per i suoi tifosi, la Casa di Wetzlar spicca definitivamente il volo.


SUMMILUX 50/1,4
seconda versione, 1962-1994
Dopo appena tre anni il Summilux 50 subisce una prima revisione, peraltro non trascendentale; dal lifting esce un obiettivo molto simile al precedente, senza stravolgimenti di filosofia. Risolta una certa difficoltà di centraggio (raro, se non impossibile, trovare un prima serie con lenti, appunto, perfettamente centrate), il Summilux si prepara a oltre un trentennio di regno incontrastato, periodo durante il quale subirà soltanto ritocchi minori, poco storicizzati e di portata subliminale. In pratica, a differenza di altre focali, comprando un 50/1,4 M non bisogna prestare particolare attenzione all'anno, alla serie, alla matricola. Sempre e comunque la stessa resa inconfondibile, ariosa e corposa al tempo stesso, con scansione dei piani incisa e naturale, mai ridondante o opprimente (eccesso, questo, in cui spesso indulge il Summicron di pari focale, specie nelle ultime generazioni). Nitidezza sempre alta al centro, in crescita progressiva agli angoli dalla massima apertura, fino f:4/5,6, dove pareggiano con le aree centrali. Globalmente, un capolavoro, bandiera della resa Leica più tradizionale, proprio quella che molti, oggi, rimpiangono.

SUMMILUX 50/1,4
terza serie, 1995-2004
Ultimo giro di giostra per il vecchio e glorioso schema, alle prese con un ulteriore, lieve restyling. Intanto la montatura ora incorpora il paraluce telescopico, più pratico; le lenti poi vengono leggermente ridisegnate, e nuovi trattamenti antiriflesso spingono in alto la brillantezza generale, in un ambito tuttavia ancora molto equilibrato. La messa a fuoco minima passa a 70 cm, indice di un migliorato controllo dell'aberrazione sferica. Lamentata da più utilizzatori la difficoltà di trovare un esemplare dalla camma telemetrica perfettamente calibrata, con il risultato di lievi imprecisioni di focheggiatura, specie alle distanze minime.

SUMMILUX 50/1,4 asferico
2004-in produzione.
L'ultimo nato della stirpe raccoglie un'eredità molto pesante, esibendo tuttavia una disinvoltura e sicurezza rassicuranti. Atteso al varco, con sospetto, da molti tradizionalisti, l'ultimo nato sembra difendersi molto bene da ogni accusa di tradimento. Come lecito attendersi, la superlativa correzione genera immagini molto pulite e a rischio di freddezza, ma una certa impronta Leica nello sfocato salva quella tridimensionalità che molti, me compreso, non riescono a dissociare dal marchio. E' ancora presto per giudizi definitivi, ma certi errori di un recente passato sembrano scongiurati.

NOCTILUX 50/1,2 asferico
1966-1975
Ottica rivoluzionaria, il primo asferico con produzione di serie; lenti molate a mano, con conseguenti alti costi e scarti (costava come quattro Summicron); la resa è tuttora affascinante, anche se oramai tradisce l'anzianità del progetto. Molto interessante e istruttivo analizzare l'andamento sinusoidale della nitidezza: per cercare di portare il fuoco il più possibile sul piano focale (vero problema degli ultraluminosi), i progettisti hanno dovuto accettare centro e margini molto nitidi fin dalla massima apertura, con un consistente buco di limpidezza nella porzione intermedia.
Raro e costoso, per appassionati curiosi e ben messi nel portafoglio.

NOCTILUX 50/1
1976-in produzione
Via le lenti asferiche, maggior diametro e luminosità, resa peculiare, da sempre oggetto di amore e odio. Il gigante di luce della serie M continua a dividere gli appassionati: inviso ai cultori dell'immagine nitida e fedele, cavallo di battaglia dei poeti in 35mm. Affetto da vistosa curvatura di campo e vignettatura (fino a due stop alla massima apertura), il Nocti non può certo vantare una immagine perfetta secondo i canoni, almeno ai tre diaframmi maggiori (ovvero fino a f:2, che rappresenta, giusto per confronto, il primo diaframma del Summicron-!-). Tuttavia, la piacevolezza delle fotografie rubate al buio con questo vetro riesce spesso a stregare l'osservatore, immergendolo in una atmosfera liquida, vaporosa, intrisa di cromie sgargianti e trasparenti, dalle quali si stagliano i pochi millimetri di profondità di campo del soggetto a fuoco.
Costoso, pesante, ingombrante (copre quasi metà del mirino), e difficile da usare; ma non per questo di minor presa sull'immaginario del popolo Leica (e non solo).

SUMMILUX 75/1,4
1980-in produzione.
Seppure la montatura contempli due versioni, di cui la prima con paraluce separato, lo schema ottico rimane immutato nei 25 anni di vita, ad oggi, di questo vetro straordinario e controverso. Focale non convenzionale (ma in casa leica c'era il precedente del vecchio 73/1,9), scelta per entrare il meno possibile nel mirino della M (ma nonostante questo l'invadenza dell'ottica è pari al Noctilux), prevista purtroppo a partire solo dalla M4-P, cosa che rende l'obiettivo in oggetto non usabile con tutte le macchine precedenti, il Summilux 75 condivide molte delle scomodità operative del Noctilux, ma, come nel caso di quest'ultimo, sa ben ripagare con i propri risultati chi sia disposto a farsene carico.
Resa cromatica straordinariamente sapida e trasparente, andamento dei piani entusiasmante (una delle più belle rese di sfocato del panorama Leica), nitidezza sempre ottima, con appena un accenno di velo alla massima apertura e alle distanze brevi, e una grinta esuberante ai diaframmi medi. Un po' di vignettatura ai massimi diaframmi, non dovrebbe disturbare negli usi più consoni a questo genere di tool.
Unica vera nota dolente, la difficoltà di trovare un esemplare perfettamente tarato nella messa a fuoco, essendo molti gli esemplari più o meno imperfetti sotto questo aspetto.

SUMMILUX 75/2 Apocromatico
2005-in produzione
Benché accreditato di resa simile al 90/2 Apo Asph (annuncio interpretato da molti come una temibile minaccia), alla resa dei fatti questo ultimo nato sembra rifarsi di più nell'impronta al suo predecessore di pari focale. Benché presto anche in questo caso per trarre giudizi definitivi, nell'asse 50 asferico/75 apo sembra configurarsi una nuova filosofia, che recepisce certe critiche, e cerca una direzione intermedia tra l'antico e un inevitabile progresso.

ELMAR 90/4
varie versioni, 1954-1968
Ecco un nonnetto terribile, di quelli che ancora oggi hanno molto da insegnare ai saputi bis-nipoti. Progettato nel 1931 (!), nel classico schema a quattro lenti (ridotte quasi provocatoriamente a tre nell'ultimissima, rara, versione), desta ancora ammirazione la resa corposa e piacevole, e nitidissima al tempo stesso, di questo autentico, piccolo (oggi), capolavoro. A buon intenditor, poche parole.

ELMARIT 90/2,8
1959-1974
Obiettivo glorioso e amatissimo dagli intenditori, preferito a tutt'oggi da molti alle versioni successive per la sua magica plasticità, per un colore pieno, ma mai troppo squillante, una straordinaria compensazione tra luci e ombre, e una nitidezza finissima, mai strillata. Unica, piccola/grande pecca, la mediocre tenuta al controluce, ma questo purtroppo è un aspetto comune a diverse altre versioni di questa focale, per liberarsi del quale bisogna arrivare alle versioni correnti.

TELE ELMARIT 90/2,8
1964-1974 cinque lenti
Ribattezzato nano per le dimensioni ridotte rispetto al precedente, questo obiettivo, da non confondersi con il successivo modello a quattro lenti, eredita molte delle ottime qualità del modello "lungo", esaltandone ulteriormente, se possibile, la già altissima plasticità. Immagini davvero magiche e inconfondibili.

TELE ELMARIT 90/2,8
1973-1989 quattro lenti
Secondo molti, un passo indietro. Pratico per le ridotte dimensioni e il peso contenuto (anche questo obiettivo spesso viene definito, impropriamente, nano), nonché per il paraluce in gomma ripiegabile, sul piano delle pure prestazioni l'ottica in oggetto non fa innamorare. Massima apertura piuttosto fiacca, nitido da f:4 in poi, ma senza particolari picchi di personalità; ancora molto vulnerabile al flare.

ELMARIT 90/2,8
1989-in produzione
Sotto il profilo tecnico, un punto di arrivo. Nitidezza estrema a tutti i diaframmi e su tutto il campo; resistenza esemplare al controluce, colore saturo e squillante. Come avviene per molti obiettivi dell'ultima generazione, la grande esuberanza ne rende problematico l'impiego con pellicole parimenti vivaci, e soggetti... umani.

SUMMICRON 90/2
1959-1979 6 lenti, svitabile
Assolutamente rivoluzionario all'epoca, la qualità fotografica di questo obiettivo non smette di stupire e innamorare a quasi mezzo secolo dalla sua concezione. Ingombrante e pesante, esibisce una resa straordinariamente piacevole e lineare, senza talloni d'achille, che non siano la solita, non esemplare, tenuta al controluce. Cromie calde e avvolgenti, nitidezza finissima e ben controllata fin dalla massima apertura e su tutto il campo, sfocato tra i più belli della linea M. Un capolavoro assoluto, che non dovrebbe mancare nel corredo di ogni gourmet con Leica al collo.

SUMMICRON 90/2
1980-1998(?)
Altro giro, altra corsa.
Qualcosa migliora (dimensioni e peso), e qualcos'altro peggiora (resa alle massime aperture e alle distanza minori); molto brillante e contrastato da 4/5,6 in poi, non esalta ai due diaframmi maggiori, specie al di sotto dei tre metri. Questo non toglie che l'ottica in questione si profili come uno dei migliori compromessi possibili tra peso/ingombro/prezzo/resa. Più maneggevole del predecessore (e sotto alcuni aspetti più moderno nella resa), meno asettico del successore. Non sempre la moglie (o il marito) ideale è quella/o che appassiona di più...

SUMMICRON 90/2 Apo Asferico
1998-in produzione
Il trionfo degli ingegneri alla plancia di comando. Nitidezza, contrasto, MTF, flare, planeità, correzione cromatica, eccetera, tutto al massimo. 110 e lode. Chissà perché, però, mi viene da sbadigliare. Forse per quella assenza di tridimensionalità, quell'immagine ritagliata che a più d'uno ha fatto gridare: "al giapponese!"?
Non è una dichiarazione ufficiale, ma da tante mezze parole, non sembra azzardato dire che nel progettare i più recenti 50/1,4 e 75/2 in Leica siano stati attenti ad evitare proprio questa sensazione di asepsi, questa luce verde neon che sembra circondare le immagini del campioncino, e non mi riferisco certo all'intonazione cromatica...

HEKTOR 135/4,5
1954-1960
Quando si tratta di ottiche progettate da max Berek, attenti a storcere il naso solo perché parliamo di un obiettivo nato nel 1933! Se ci capita tra le mani un esemplare con lenti a posto, divertiamoci a scoprire le grandi qualità di piacevolezza delle immagini generate da questi vecchi vetri. Corposità, nitidezza mai invadente, meravigliosa scala dei grigi nel BN. Da provare, almeno una volta nella vita.

ELMAR 135/4
1960-1965
Mezzo diaframma in più, e resa ottica modernizzata e spinta in alto. Maggior contrsto,e immagine tuttora godibilissima, senza pecche di sorta. Poche parole per un grande performer.

TELE ELMAR 135/4
1965-1998
L'Elmar di massima focale viene accorciato grazie allo schema tele, e portato alla perfezione ottica. Immagini semplicemente magiche e impeccabili, di nitidezza straordinaria ma non aggressiva, cromie sapide ed appaganti. Altissima scuola di ottica fotografica. A dire di molti, insuperato.

APO TELYT 135/4
1998-in produzione
Secondo un copione ormai consolidato, la correzione apocromatica esalta parametri quali la nitidezza e il contrasto, a discapito, secondo alcuni, della piacevolezza dell'immagine, almeno secondo i parametri tradizionali dell'impronta leica. Ho visto, o avuto notizia, di esemplari non perfettamente tarati nella camme telemetrica.

ELMARIT 135/2,8
1963-1973 prima versione
L'obiettivo in questione condivide lo stesso schema del corrispettivo per Leica R, e ne eredita le ottime qualità di plasticità e nitidezza. Poco amato dai leichisti, forse anche per gli ingombranti occhialini, secondo lo scrivente si tratta di un vetro ingiustamente sottovalutato. Attenzione al corretto fuoco, in quanto gli occhiali aggiungono un ulteriore variabile, e devono essere perfettamente tarati.

ELMARIT 135/2,8
1973-1996
Evoluzione del precedente, non se ne discosta in modo sensibile; forse, lievemente più nitido, e altrettanto meno plastico, ma nell'ambito di sfumature piuttosto lievi.
Stesso ottimo giudizio personale.

I presenti articoli sono stati scritti da Sante Castignani sul Forum Leica nei seguenti post:

http://www.leica-italia.it/cgi-bin/forum/oggetto.asp?id=22242&ins=1
http://www.leica-italia.it/cgi-bin/forum/oggetto.asp?id=22240&ins=1
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